L’Opec e la riconversione energetica dei Paesi Arabi


A cura di Ciro Carolei

Lo scorso mese l’Organizzazione degli esportatori di greggio (Opec) è riuscita a mettere tutti d’accordo, compresi l’Iran e l’Iraq, per tagliare la produzione di ben 1,2 milioni di barili al giorno, portando il tetto produttivo complessivo a 32,5 milioni di barili. Il gruppo ha affermato inoltre di poter già contare sulla collaborazione della Russia e di altri paesi non Opec, per una riduzione ulteriore di altri 600mila barili. La forza di questo accordo dipenderà però dal fatto che tutte le parti coinvolte rispettino gli impegni presi. Tradizionalmente l’Arabia Saudita e i suoi alleati nel Golfo, gli Emirati Arabi Uniti e il Kuwait, hanno sempre messo in pratica i tagli alla produzione concordati, ma altri paesi non hanno fatto altrettanto, soprattutto quando il prezzo del petrolio è stato basso. Il diffondersi di dubbi all’interno del mercato potrebbe mettere nuovamente sotto pressione i prezzi. Gli ultimi due anni sono stati difficili per l’OPEC: stando all’Energy Information Administration statunitense, un’agenzia americana che si occupa della raccolta e diffusione di dati sull’energia, quest’anno i paesi del gruppo guadagneranno 341 miliardi di dollari dalle esportazioni di petrolio, meno rispetto ai 753 miliardi del 2014 (prima che il prezzo del petrolio crollasse) e anche rispetto al record di 920 miliardi nel 2012.

In questo contesto il settore delle energie rinnovabili gioca una partita complessa. In teoria prezzi del petrolio più elevati fornirebbero un sostegno alle industrie dell’energia rinnovabile, la cui produzione sta iniziando, già oggi, a essere competitiva con le fossili in alcuni mercati chiave. Difatti fin dai primi allarmi per la sovrapproduzione di greggio e il conseguente picco negativo dei prezzi petroliferi è stato chiaro, anche ai big delle fossili, che le rinnovabili avrebbero presentato un business redditizio, soprattutto per il fatto di essere slegate dal mercato e protette, in molti casi, da sistemi di sostegno. Infatti mentre nei primi sei mesi del 2015 gli investimenti privati globali diretti ai settori dell’energia, dei trasporti e delle infrastrutture idriche dei Paesi in via di sviluppo hanno registrato un forte calo, le energie rinnovabili hanno superato qualsiasi previsione ottimistica e nel primo semestre di quest’anno hanno raggiunto quasi la metà del totale degli investimenti nelle economie emergenti. Il livello più alto ma raggiunto fino ad ora.

Ma una partita importantissima la giocano proprio gli stessi produttori di petrolio che hanno iniziato, già da qualche anno, una forte conversione alle energie rinnovabili con un investimento di circa 116 miliardi di dollari che i paesi del golfo Persico, primi tra tutti Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, hanno deciso di stanziare su progetti a energia solare.

L’obiettivo dell’Arabia Saudita è di arrivare a 23,9 gigawattora di capacità da energia rinnovabile entro il 2020, per poi crescere fino a 54,1 gigawattora entro il 2032. In pratica per quella data il 25% della domanda di consumi energetici interni sarà coperto dalla tecnologia solare ed è una bella percentuale se pensiamo che siamo nel cuore del club globale dei produttori di petrolio.

Ma la scommessa più avveniristica e ambiziosa si gioca in pieno deserto, a 17 chilometri di distanza da Abu Dhabi, la capitale degli Emirati Arabi Uniti, quinta potenza petrolifera della Terra con riserve di greggio per 150 anni. Qui sta nascendo la città più green del mondo con un investimento superiore ai 20 miliardi di dollari, una metropoli interamente ecosostenibile: Masdar City. Il nome in arabo significa “fonte”, ed è significativo il fatto che i cantieri sono stati aperti in un luogo dove scarseggia l’acqua, non esiste terreno coltivabile, la temperatura sale oltre i 50 gradi, e il panorama è dominato dai pozzi di petrolio. Insomma: una città carbon free dove il petrolio ha finora dominato.

Masdar sarà completata entro il 2020. All’ingresso della città, fuori dall’abitato, ci sarà una centrale fotovoltaica da 10 megawatt che dovrebbe coprire le esigenze dei consumi elettrici pubblici in tutto il territorio urbano. Il resto lo faranno i pannelli solari che ricoprono gli edifici, con un’altra, importante novità: non più grattacieli, come è tradizione nelle metropoli degli emiri, ma palazzi non più alti di quattro piani, interamente ricoperti dai pannelli. Nel sottosuolo sono previste strutture che consentiranno il passaggio dell’aria fresca per gli impianti di raffreddamento negli appartamenti e negli uffici, mentre l’acqua arriverà da sofisticati impianti di desalinizzazione che andranno a cercarla in profondità per poi portarla, depurata, in superficie.