Castellammare. Libero d’Orsi e il tesoro dimenticato della Grotta San Biagio


Un tesoro dimenticato: la Grotta di san Biagio. “Ormai mi decido a mettere alla prova le mie virtù di scavatore. Una data memoranda: il 9 gennaio del 1950, ore sette del mattino! Con un bidello della mia scuola ed un giovane meccanico – molto – disoccupato, mi reco devotamente nella cripta per cercare di capire, con opportuni sondaggi, qualche cosa di questo misterioso monumento. Abbiamo con noi i ferri del mestiere: tre pale e tre picconi. Le immagini dei santi mi guardano con occhi stralunati e sembrano interrogare: “Che vuole costui? Chi gli consente di turbare la nostra pace?” […] Ormai la mia gioia non ha limiti. Si lavora per mesi e mesi e finalmente mettiamo le mani sul corpo di Stabia sannitica e presannitica. A poco a poco, dopo lotte continue con i proprietari terrieri, giungiamo a scoprire 240 tombe… Dove c’è morte c’è vita: qui dunque doveva abitare il grosso della popolazione. In alto, sul pianoro i signori, giù la povera gente.” Queste le parole di Libero d’Orsi, preside della scuola Stabiae di Castellammare di Stabia, circa le sue opere di scavo della Grotta San Biagio. Uno studioso appassionato, un archeologo indimenticato che, non sempre facilitato nel suo lavoro, con l’aiuto di collaboratori fidati, ha donato tanto ai suoi concittadini. Assieme alle ville romane e non solo, Grotta San Biagio è uno di quei “doni”. Ma di che si tratta esattamente? Un ipogeo preservato quasi in maniera naturale passando inosservato attraverso i secoli, utilizzato in epoca romana come luogo di culto per lo svolgimento di riti pagani e poi trasformato, in epoca cristiana, in una vera e propria chiesa di pianta latina. Il toponimo di Grotta san Biagio risalirebbe ad epoca medievale. Il luogo sarebbe stato dedicato a due fratelli romani martirizzati agli albori del cristianesimo, Giasone e Mauro. Da quel momento in poi il posto sarebbe stato denominato “ai santi Giasone e Mauro” per poi passare solamente a “a Santo Giase”, trasposto in linguaggio popolare in “San Biase”, da cui l’odierno San Biagio. La quantità di affreschi, menzionati dallo stesso d’Orsi nei suoi personali diari di scavo, è impressionante: non solo la Madonna col Bambino Gesù, ma anche angeli e santi. Stupisce la presenza di rappresentazioni dell’arcangelo Michele, il cui culto sarebbe attestato al VI secolo per opera dei Longobardi, e di Uriele, altro arcangelo, la cui adorazione fu vietata a partire dal 789 d.C.
Un vero e proprio patrimonio “nascosto”: ma usato a quale scopo? Per alcuni avrebbe funto da sottopassaggio volto a collegare la spiaggia e la sovrastante villa Arianna, per altri una cava da cui estrarre materiale di costruzione per le loro ville ad otium.

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