“Sparalo, sparalo a questo infame”, il racconto dei momenti del raid contro il minorenne


Castellammare di Stabia. Le immagini in sequenza di un raid punitivo che rimandano alle immagini di un film in stile Gomorra. A raccogliere in sequenza gli attimi del raid punitivo davanti al bar dopo il diverbio con “l’infame” sono le telecamere di videosorveglianza installate in città. Aver picchiato l’aspirante baby boss gli è costato la gambizzazione, un’ora dopo, davanti al bar. In carcere sono finite sei persone, quasi tutti pregiudicati, e due minori finiti in comunità della famiglia Fontana, alias “i Fasano”. Un piccolo clan familiare che ha il predominio criminale nella zona dell’Acqua della Madonna e della villa Comunale stabiese. Quel film inizia poco dopo le 23 del 10 dicembre del 2016 quando G., figlio di Catello Fontana rientra nella zona dell’Acqua della Madonna a Castellammare, il quartier generale della sua famiglia, e incontra i suoi familiari: la zia Laura, i cugini Vincenzo, P. G. (l’altro minore finito in comunità) e Alfonso. E’ in questa fase che si prepara il raid contro Gaetano Cavallaro, un giovane con il quale G. ha avuto un diverbio pochi minuti prima. il piccolo conciliabolo è preparatorio a quella gambizzazione avvenuta poco prima di mezzanotte in Corso Alcide De Gasperi al bar 82.Da quel momento in poi, le telecamere riprendono gli spostamenti del gruppo nei pressi del distributore di benzina al’Acqua della Madonna, e poi la ricerca delle armi. Una fiocina da sub che diventa un bastone, recuperata dalla stiva di una barca ormeggiata ai pontili,  e le due pistole consegnate dalle donne della famiglia ai giovani rampolli.  Alle 23, 30, mezzora dopo l’arrivo di G. nel suo quartier generale è tutto pronto per poter far partire la spedizione punitiva. Ci sono gli scooter, le armi, gli uomini.
G. può partire per la sua ‘iniziazione’ – così è stata definita dagli esperti della Procura per i minori – da baby boss. La pistola che le donne della famiglia gli hanno dato è stata provata: deve sparare. Quando verso le 23,40 il commando di giovanissimi, padri e zii, arriva in Corso Alcide De Gasperi, Gaetano Cavallaro – il giovane che ha osato sfidare il baby guappo – è seduto al bar. Sorseggia un drink. G. parcheggia lo scooter – le targhe poi vengono rilevate dalle telecamere – si avvicina e gli punta la pistola al volto e al petto. Poi, l’esitazione. Ha paura. E allora il cugino Alfonso Fontana, 19 anni appena, lo incita: ‘sparalo, sparalo a questo infame’. G. preme il grilletto, mentre la vittima si gira offrendogli il fianco, pensando di non avere più scampo, non vuole guardare in faccia alla morte. Il colpo parte, Gaetano Cavallaro viene ferito ad entrambe le gambe. Ma è vivo. A quel punto, il fratello che è nel bar con lui lancia il suo casco contro gli aggressori per distogliere l’attenzione dall’obiettivo. Ma i Fontana non si intimoriscono e questa volta colpiscono con il bastone, inseguono il fratello di Gaetano Cavallaro, lo colpiscono con il bastone. E’ ferito ad una mano.
La spedizione è compiuta, l’iniziazione di G. alla vita criminale anche. Gaetano Cavallaro se la caverà con ferite lievi e dieci giorni di prognosi. Ma da quel momento per i Fontana non c’è più pace. Quattro giorni dopo gli agenti del Commissariato di Castellammare di Stabia hanno circoscritto il cerchio intorno alla famiglia di via Caio Duilio. Scattano le perquisizioni. E’ tutto sparito, vestito, armi. Del raid non c’è traccia nelle vite della famiglia Fontana, ma non in una casa dove Alfonso Fontana vive con la mamma, lontano dal quartiere generale. Lì ci sono i vestiti che il giovane indossava la sera del 10 dicembre: il casco, il giubbino. Sono le stesse cose che si vedono in quel film. Il resto arriverà fotogramma dopo fotogramma nei mesi successivi. Mesi di indagini e riscontri culminati nel blitz che ha portato in carcere e in comunità gli otto componenti della famiglia Fontana.

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