Scafati. Sposa in carne, l’atelier non le vende l’abito: costretta a cambiare vestito


Scafati. Un acquisto di un abito da sposa rischia di finire in un’aula di tribunale. “Sua figlia ha bisogno di perdere peso. Deve perdere almeno 15-20 chili altrimenti non posso confezionarle l’abito scelto”. Sono queste le parole del commerciante di un famoso atelier che hanno scatenato l’ira del padre della sposa, una ragazza di 30 anni piuttosto in carne. Il processo è stato evitato grazie alla mediazione dell’avvocato Ludovico Fattorusso. E a chiedere l’intervento del noto legale scafatese è stato proprio il padre della sposa, un ex macellaio oggi in pensione.
L’uomo è sconvolto, consapevole che la sua primogenita è sovrappeso, ma il rifiuto di confezionarle l’abito dei suoi sogni lo vive come un affronto, un’offesa alla figlia. “Avvocà io pago e pago bene, come può l’atelier rifiutarsi di confezionare un abito? Mia figlia è stata discriminata”.
Il primo contatto con il negozio di abiti da sposa parte subito e la risposto è immediata: “L’abito scelto dalla signora presenta caratteristiche non idonee e non pensate per una sposa in sovrappeso. Nulla di discriminante, ma confezionando quell’abito in misura extralarge si andrebbe a snaturare l’originalità e la peculiarità dello stesso”. Il padre della ragazza non si capacità di tutto ciò, ma l’avvocato Fattorusso forte della sua esperienza capisce subito che presentare una causa del genere in tribunale sarebbe solo una grossa perdita di tempo e di denaro, vista l’alta probabilità di insuccesso del suo assistito.
“Il codice civile parla di “autonomia contrattuale tra le parti”, e in virtù di questo, è vero che il cliente ha libertà di decidere il contenuto del contratto, ma è anche vero che l’artigiano, il professionista o il commerciante ha piena facoltà di decidere a chi vendere”.
E il fattore discriminante viene meno, nel momento in cui l’atelier chiarisce la sua posizione. “Per farla breve, l’attività commerciale puntualizza che il rifiuto non è assoluto, bensì relativo a quell’abito specifico. Alla sposa l’atelier ha offerto diverse altre opzioni, che meglio potevano essere riadattate anche in misura XXXL, ma non l’abito scelto in primo momento, perché ne avrebbe snaturato l’idea di fondo”.
“Ho faticato non poco a convincere soprattutto il papà della sposa a desistere dal fare causa, andando contro i miei stessi interessi professionali, e avviando una mediazione tra le parti – aggiunge l’avvocato Fattoruso – ma alla fine la ragazza ha capito, e ha scelto un altro abito simile, che meglio si conformava al suo portamento”. Contenta lei, contenti tutti. Salvato l’onore della sposa e dell’atelier. Il matrimonio si celebrerà tra pochi mesi. L’atelier è stato invitato alla cerimonia? «Chissà», conclude il legale.

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