World Press Freedom Day, Saviano: “Quando scrivete sui social, pensate a tutte le persone che hanno perso la vita per l’informazione”


Nel giorno della libertà di Stampa, Roberto Saviano ha voluto scrivere una lettera esprimendo tutta la sua vicinanza a chi ogni giorno rischia la vita pur di esprimere o scrivere la propria opinione.
“Celebriamo il World Press Freedom Day, la giornata internazionale della libertà di stampa patrocinata dall’Unesco, ringraziando chi rischia la propria vita per donarci conoscenza.
Nel tempo in cui conoscere significa appartenere a élite da abbattere, sembra quasi che chi fa informazione muoia per niente. Sembra che il lavoro di chi rischia la vita per raccontare ciò che accade realmente, sia costantemente messo in secondo piano da chi crede che i social media siano produttori di notizie e non luoghi in cui l’unica cosa che è davvero possibile condividere sono stati d’animo e poco più. Ogni volta che dite “è vero perché l’ho letto su Facebook” state condannando voi stessi alla cecità e i giornalisti che rischiano la vita all’isolamento.
Basta commentare l’ultimo tweet del Papa, del politico, dell’attore, del giornalista che amiamo o detestiamo per avere l’illusione che non esistano più barriere tra noi e quelli che ormai, con tutto il disprezzo che abbiamo in corpo, ci siamo abituati a chiamare “i potenti del mondo”. Vogliamo abbattere le caste, eliminare le disuguaglianze, valere quanto gli altri, ma solo sui social, dove provarci non costa nulla. Nessuno sforzo, nessun lavoro, nessun impegno, nessuno rischio. Doppia illusione. Illusione che si sia tutti uguali solo perché tutti possono essere insultati. Illusione che si abbia la libertà di espressione solo perché esiste la libertà di insulto.
Di contro, mai come oggi, grazie alla capillarità dei mezzi di informazione, ci giungono continuamente notizie di giornalisti che muoiono o vengono arrestati solo perché hanno scritto, non perché hanno insultato o diffamato, ma perché hanno raccontato, ipotizzato, scovato connessioni. Loro non credono che insultare sui social sia libertà, per loro libertà è poter raccontare ciò che vedono e per farlo rischiano la vita.
Il primo maggio a Bangui, nella Repubblica Centroafricana, uno dei paesi più poveri del mondo, c’è stato un attacco alla comunità cattolica da parte di miliziani islamici del distretto PK5. Nell’attentato alla chiesa ci sono stati 9 morti e 60 feriti, altri 6 morti poi negli scontri che sono seguiti. Sapete cosa rischia chi racconta queste notizie? No, non lo sapete e non lo immaginate nemmeno. E sapete perché questa notizia per noi vale tantissimo? Perché ci dice che chi scappa dall’Africa e arriva in Europa fugge anche da ciò che terrorizza noi: gli attentati.
Cambia la prospettiva, no? Questa notizia ci dice che chi sbarca in Italia non è un potenziale attentatore, ma vittima di attentati.
Ecco a cosa serve l’informazione, soprattutto quella pericolosa, quella che condanna a morte, a torture e a carcerazione: serve a capire, a rendere consapevoli. Ma chi non esita a rischiare la propria vita per scrivere cos’è, un folle? No, si tratta di persone normali, come voi e come me, che vedono l’inferno e non riescono a tacere. Sanno a cosa vanno incontro? A volte sì, altre non fino in fondo, ma l’urgenza di raccontare vince sulla prudenza. Lo so perché l’ho vissuto.
E sapete chi sono i giornalisti più esposti? I giornalisti locali, sono loro a morire: il 95% dei giornalisti uccisi sono giornalisti di cui non conosceremo mai i nomi perché vivono in periferie, in angoli di mondo di cui ignoriamo persino l’esistenza, perché si occupano di ingiustizie e corruzioni lontane, che devono essere portate alla luce. Si occupano di narcos e corruzione delle istituzioni in Sudamerica; scrivono di bombe, attentati, riciclaggio; ipotizzano e portano prove dei legami tra organizzazioni criminali e terroristiche e apparati statali in Africa, in Medio Oriente, in Russia. Il loro lavoro è quanto di più prezioso possa esserci.
So che può sembrare un invito un po’ ingenuo, ma voglio farlo: quando scrivete sui social, quando credete di essere liberi perché potete liberamente esprimere la vostra rabbia, pensate a chi muore per aver scritto. Pensate a chi ha utilizzato le stesse lettere che usate voi, lo stesso alfabeto, tre stesse parole, tastiere simili alle vostre e questi gesti, per noi innocui, sono valsi condanne a morte.
Scrivere è comunicare e comunicare in maniera articolata (quindi non semplicemente per dire “attenti al leone che ci attacca”) è ciò che ci rende uomini. Questo dono prezioso per alcuni è letale. Pensiamoci, ogni volta che abbiamo l’opportunità di esprimere il nostro pensiero, perché non dobbiamo comunicare meno, ma comunicare bene.
In memoria di Giancarlo Siani, Pippo Fava, Antonio Russo, Anna Politkovskaja, Christian Poveda, Javier Valdez Cárdenas, Tim Lopes, Marisol Macías Castañeda, Daphne Caruana Galizia, Jan Kuciak e tutti quei giornalisti coraggiosi che hanno perso o mettono a repentaglio le loro fragili vite per donare conoscenza.”

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