Nasce un’app per tornare a sentire: apparecchio Hi-tech che stimola il cervello


Un’app per tornare a sentire e stimolare il sistema nervoso. Si chiama autoapprendimento il sistema su cui si basano i nuovi dispositivi audioprotesici che aiutano l’orecchio e fanno rimanere giovane il cervello. Gli effetti sui pazienti di queste protesi sono state studiate al Policlinico Tor Vergata di Roma, dove si è visto come le persone riescono a regolare con lo smartphone volume e livelli del suono che, così, appare naturale e pulito. La possibilità di indossare queste protesi computerizzate, riferiscono i ricercatori, ha mantenuto, e in alcuni casi aumentato, il loro orizzonte comunicativo, capacità necessaria a mantenere la loro mente attiva. “Le protesi di ultima generazione si regolano con lo smartphone e si adattano all’ambiente circostante”, spiega Stefano Di Girolamo, responsabile dell’unità di otorinolaringoiatria del policlinico romano. “Il loro utilizzo – continua – sarà ancora più facile per il paziente con l’utilizzo di un’applicazione sul telefono con la quale è possibile diversificare il tipo di ascolto: quello selettivo, adottato per esempio a una festa, in cui orecchio e cervello collaborano per selezionare il suono che interessa, in un contesto di altre voci e rumori, o quello da dedicare in un colloquio a tu per tu”. Gli studi sulla Salute del nostro Paese prevedono che nel futuro la popolazione sarà più vecchia e meno autosufficiente. D’altro canto, però, gli individui che vengono chiamati baby boomers, i nati cioè negli anni ’40-’50, sono lontani dal voler perdere posizione lavorativa e indipendenza. Hanno scoperto tardi la tecnologia ma cominciano ad essere in tanti a usare anche i social network per non smarrire le relazioni sociali o i legami con i figli spesso all’estero . “A questi pazienti – prosegue Di Girolamo, che è anche docente di audiologia all’università di Tor Vergata e presidente del corso di laurea in tecniche audioprotesiche – sono destinate le nuove protesi che immagazzinano i dati acustici in forma anonima tramite l’app. Le informazioni raccolte sono utili per aggiornare la tecnologia che viene quindi personalizzata in base all’uso che fa la persona del dispositivo. Per esempio, se è una persona è abituata a parlare in pubblico o in contesti affollati, il computer collegato adatterà l’output in base all’ambiente”. Per questo si dice che le nuove protesi si basano sull’autoapprendimento perché migliorano la loro efficacia con l’utilizzo e l’archiviazione di dati.
Va poi ricordato che curare l’udito, fronteggiando i problemi di ipoacusia che sopraggiungono con l’età, significa anche mantenere giovane la mente e rallentare il declino neurologico. Infatti rispetto ai normoudenti, gli individui affetti da ipoacusia lieve, media e grave, hanno rispettivamente 2, 3 e 5 volte un rischio più alto di sviluppare deficit cognitivi . Intanto, dal prossimo anno, la Scuola di audiologia dell’università Tor Vergata attiverà un corso di perfezionamento per audioprotesisti specializzati in questo nuovo tipo di dispositivi. “La scelta di questo corso di laurea per molti studenti si conferma vincente ed è ai primi posti fra le lauree sanitarie preferite”, osserva Di Girolamo. Secondo le classifiche stilate da Almalaurea, infatti, il tasso di occupazione per i laureati in tecniche audioprotesiche è dell’83%”. “La volontà della popolazione più anziana – conclude l’esperto – di volersi mantenere efficiente con le nuove tecnologie è un ottimo segnale. Ma lo è ancora di più se, come evidenziano le statistiche, incentivano l’occupazione della fascia giovanile”.

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