Zlatan Ibrahimovic l’alieno: “Vengo da un pianeta tutto mio, il pianeta Zlatan”


Ai microfoni della BBC ha parlato il solito Zlatan Ibrahimovic, attaccante oggi ai Los Angeles Galaxy che ha ripercorso le tappe principali della sua fenomenale carriera. Questi i passaggi principali: “All’inizio della carriera non pensavo ai gol, ma solo a migliorare le mie abilità, i miei dribbling e la mia tecnica. Ad un certo punto qualcuno mi disse che il mio livello era già alto e che avrei dovuto iniziare a pensare ai gol, in quanto attaccante. E quando arrivai alla Juventus tutto cambiò. Per me era tutto nuovo. Un grande club, grandi giocatori, grandi allenatori e grande storia passata. Dal primo giorno mi fermavo dopo l’allenamento, con Capello che chiamava i giovani dalla Primavera. Loro crossavano, io segnavo. Ogni giorno per 30 minuti. Spesso volevo andare a casa perché ero stanco, ma mi bastava sentire ‘Ibra’ e iniziavo a calciare verso la porta. Alla fine sono diventato una macchina, davanti alla porta. Segnavo tanti gol, specialmente in Italia, dove per gli attaccanti è difficilissimo visto il loro ottimo livello tattico. Per esempio mi trovai di fronte Maldini e Nesta, con Dida alle loro spalle. Segnare non era facile, ma per fortuna mi allenavo con Cannavaro-Thuram davanti a Buffon. La Premier League? In tanti mi dissero di non farlo, che avrei fatto un passo falso per la mia carriera. Ma questo mi motivò ancora di più, era la sfida che cercavo. Dicevano che ero vecchio, ma bastarono 3 mesi per far cambiare idea a tutti. Allo United ho vissuto una grande esperienza, mi mancano tutti. Rooney, Carrick e tutti i giovani ragazzi che stavano emergendo. Pogba? Non avevo mai giocato con lui e non lo conoscevo. Avevamo lo stesso agente, quando l’ho conosciuto ho trovato una grande persona e un calciatore fantastico che però aveva bisogno di essere guidato. E’ un professionista che gioca sempre e non ha mai perso un allenamento. Il rapporto in campo era fantastico, ci aiutavamo a vicenda e il primo anno è stato stupendo. Diciamo che allo United mi sentivo Benjamin Button, sembravo sempre più giovane. Poi sfortunatamente è arrivato l’infortunio. E’ stato strano per me, visto che non ne avevo mai avuto uno. Ero come Superman, ero indistruttibile e nessuno poteva rompermi. Solo Zlatan poteva infortunare Zlatan. Ma non era quello il modo in cui volevo smettere di giocare a calcio. Quando non potrò più farlo smetterò, perché non sono qua per fare la carità. Il secondo anno allo United non mi sentivo pronto, sentivo qualcosa di diverso, era come se dovessi ripartire da zero e insegnare alle mie gambe a giocare a calcio. Dopo poco però la mia fiducia iniziò a crescere, ma avevo bisogno di un nuovo ambiente per sentirmi a mio agio. La scelta di Los Angeles? Parlando con mia moglie è venuto fuori che ci sarebbe piaciuto vivere a LA, per questo sono andato lì. Non è stata Los Angeles a scegliermi, sono io che ho scelto Los Angeles. Siamo felici qua, c’è meno stress. Se devo dire una cosa negativa, penso alla differenza di tempo rispetto alla Svezia. Ho poco tempo per sentire la mia famiglia. Il giorno del mio arrivo sentivo di poter dare qualcosa di diverso alla città. Mi sono visto come una sorte di regalo per loro. E loro lo hanno capito dopo 10 minuti. Le mie origini? Vengo da un pianeta tutto mio, dove c’è qualcosa che nessuno ha mai visto. E il Pianeta Zlatan”.

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