Reggio Calabria, eseguiti 12 provvedimenti di custodia cautelare per reati associativi e altro


Alle prime ore della mattinata odierna, a conclusione di complesse e articolate indagini coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia della Procura della Repubblica di Reggio Calabria diretta dal Procuratore Giovanni BOMBARDIERI, la Squadra Mobile reggina – con il supporto degli equipaggi dei Reparti Prevenzione Crimine della Calabria – nel corso di una vasta operazione di polizia convenzionalmente denominata Pedigree, ha dato esecuzione all’ordinanza di applicazione della misura cautelare della custodia in carcere n. 3930.2017 R.G.N.R. D.D.A., n. 2450.2018 R.G.G.I.P D.D.A. e n. 11.20 – 13.20 R.O.C.C. D.D.A., emessa dal Giudice per le Indagini Preliminari presso il Tribunale di Reggio Calabria in data 22.06.2020, nei confronti dei seguenti soggetti [ad eccezione di PITASI Paolo nei confronti del quale è stata disposta la misura cautelare degli arresti domiciliari per ragioni di salute], ritenuti responsabili di associazione mafiosa [cosca SERRAINO e LIBRI] e, a vario titolo, di estorsione, intestazione fittizia di beni, danneggiamento, porto e detenzione illegale di armi da fuoco, corruzione per atti contrari ai doveri d’ufficio, illecita concorrenza con violenza o minaccia, incendio, aggravati dalla circostanza del metodo e dell’agevolazione mafiosa:

  1. CORTESE Maurizio, nato a Reggio Calabria il 18.4.1980, ivi residente [già detenuto per altra causa];
  2. SCONTI Domenico, nato a Reggio Calabria il 20.1.1957 e residente in Santo Stefano d’Aspromonte [RC] – Località Gambarie [genero di Francesco, inteso don Ciccio Serraino, “boss della montagna”];
  3. MORABITO Domenico, nato a Cardeto [RC] il 14.11.1975, residente a Reggio Calabria; 
  4. DE LORENZO Salvatore Paolo, nato a Reggio Calabria il 28.10.1971, ivi residente;
  5. FILOCAMO Antonino, nato a Reggio Calabria 1’11.2.1988, ivi residente;
  6. BARBARO Antonino, nato a Reggio Calabria il 26.12.1986, ivi residente;
  7. MASSARA Sebastiano, nato a Palmi [RC] il 7.10.1986, residente a Reggio Calabria;
  8. PITASI Stefania Maria, nata a Reggio Calabria l’1.1.1983, ivi residente [moglie di Cortese Maurizio];
  9. PITASI Paolo, nato a Reggio Calabria il 26.5.1952, ivi residente [suocero di Cortese Maurizio e padre di Pitasi Stefania Maria, destinatario della misura della custodia degli arresti domiciliari].
  10. LEONARDO Carmelo, nato a Reggio Calabria il 7.7.1963, ivi residente;
  11. NUCERA Bruno, nato a Reggio Calabria 1’11.10.1968, ivi residente;
  12. MORABITO Sebastiano, nato a Cardeto [RC] il 18.8.1966, residente a Reggio Calabria – località Gallina.

Contestualmente agli arresti sono state eseguite perquisizioni personali e domiciliari e il sequestro preventivo delle seguenti imprese, disposto dal G.I.P. su richiesta della D.D.A.:

E’ stato inoltre eseguito il sequestro preventivo della seguente impresa, disposto dalla Direzione Distrettuale Antimafia:

Le indagini svolte dalla Squadra Mobile – sotto le direttive dei Sostituti Procuratori della D.D.A. di Reggio Calabria Stefano MUSOLINO, Walter IGNAZITTO, Paola D’AMBROSIO e Diego CAPECE MINUTOLO – documentano l’esistenza e l’operatività delle potenti cosche SERRAINO e LIBRI ed offrono uno spaccato estremamente chiaro delle dinamiche criminali delle predette cosche di ‘Ndrangheta operanti, attraverso le loro articolazioni territoriali, nel quartiere di San Sperato e nella frazione Gallina, nonché nel comune di Cardeto [RC] e in Gambarie d’Aspromonte, soprattutto nel settore delle estorsioni in danno di imprenditori e commercianti locali, nell’imposizione con violenza e minaccia di beni e servizi e nell’impiego dei proventi delle attività delittuose in esercizi commerciali nel campo della ristorazione [bar] e della vendita di frutta, intestati a compiacenti prestanomi allo scopo di eludere l’applicazione delle disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniali e il sequestro delle imprese ai sensi della normativa antimafia.

L’inchiesta ha avuto inizio l’1 settembre 2017 quando gli investigatori della Squadra Mobile di Reggio Calabria catturavano [unitamente ai colleghi dell’Arma dei Carabinieri], all’interno di un immobile di Reggio Calabria, il latitante CORTESE Maurizio[1], sottrattosi all’esecuzione di un provvedimento di residuo pena [7 anni ed 1 mese di reclusione] di pregresse condanne riportate per i delitti di associazione mafiosa, tentata rapina, tentata estorsione in concorso e violazione della normativa in materia di armi. 

I reati per i quali il CORTESE era stato condannato erano, già di per sé, rappresentativi della sua caratura criminale e denotavano la sua piena appartenenza alla ‘Ndrangheta ed in particolare alla sua articolazione territoriale riconducibile alla cosca SERRAINO.

Le investigazioni – svolte dalla Squadra Mobile con l’irrinunciabile strumento delle intercettazioni – consentivano di confermare la piena operatività della cosca SERRAINO e di accertare:

  1. come sia penetrante ed attuale il controllo criminale esercitato dagli appartenenti all’associazione mafiosa in argomento sul territorio di competenza [comprendente i quartieri cittadini di San Sperato, Modena, Arangea, Cataforio, Mosorrofa e dei comuni di Cardeto e Santo Stefano d’Aspromonte];
  2. come la stessa abbia in sé tutti gli elementi caratterizzanti un sodalizio di stampo mafioso, ovvero un’organizzazione stabile ed efficiente, in virtù della quale è in grado di porre in essere quel controllo criminale di cui al punto che precede, mediante la propria, specifica, forza di intimidazione e la conseguente condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva;
  3. l’attuale pericolosità della cosca e la sua capacità di diversificare i propri interessi illeciti, in quanto in grado di perpetrare, attraverso i suoi esponenti, delitti di diversa specie e natura, tutti però da considerarsi finalizzati a realizzare i suoi scopi.

            Il vertice della predetta articolazione della ‘Ndrangheta è oggi rappresentato da CORTESE Maurizio, genero di PITASI Paolo [don Paolo Pitasi] che era stato uno dei principali collaboratori di Francesco SERRAINO, noto come il “boss della montagna“, assassinato durante la seconda guerra di ‘Ndrangheta.     Nel corso degli anni, CORTESE Maurizio ha acquisito una sempre maggiore importanza nell’ambito dei gruppi mafiosi, riuscendo ad arrivare ai vertici della cosca SERRAINO, con specifica competenza territoriale nel quartiere di San Sperato, grazie anche ai rapporti che ha saputo coltivare, durante la sua carcerazione con alcuni rappresentanti carismatici di altre consorterie della ‘Ndrangheta reggina.

            Lo strettissimo legame del gruppo CORTESE con la cosca LABATE [intesi i “Ti Mangiu”] è stato al centro delle dichiarazioni del collaboratore di Giustizia LIUZZO Giuseppe Stefano Tito ma emerge anche dagli scambi epistolari tra i detenuti CORTESE Maurizio e LABATE Pietro, capi della due consorterie criminali, nonché dalle parole di stima ed ammirazione che, nei confronti del CORTESE, spendeva Antonino LABATE, intercettato nell’ambito dell’indagine coordinata dalla D.D.A. che agli inizi di quest’anno ha portato all’esecuzione dell’operazione Heliantus ad opera della Squadra Mobile.

Inoltre la stessa presenza di alcuni esercizi commerciali riconducibili a soggetti affiliati al sodalizio criminale guidato da CORTESE Maurizio come il “Lotus Cafe” e “Royal Cafe” di FILOCAMO Antonino e il bar “Mary Kate” ascrivibile a MORABITO Domenico [detto “Belli capelli”] sul Viale Calabria [in piena zona LABATE] ne è la chiara dimostrazione.

Ed ancora i contatti tra CORTESE Maurizio e il suo affiliato Antonino FILOCAMO confermano lo stretto vincolo esistente con la ‘ndrina LABATE e, in particolare, con uno dei suoi colonnelli individuato in Orazio ASSUMMA[2]. Proprio a quest’ultimo faceva riferimento FILOCAMO Antonino quando chiedeva a Maurizio CORTESE di interessare Orazio ASSUMMA al fine di riferirgli di far spostare, dal Viale Calabria, il bar “Mary Kate” di MORABITO Domenico, a suo tempo aperto con il benestare della famiglia LABATE – sulla base di un rapporto di solida amicizia e di un legame di proficua collaborazione tra le rispettive “famiglie” – proprio perché quell’esercizio commerciale era un’attività di diretto interesse di CORTESE.

Il rapporto di collaborazione tra la cosca SERRAINO e quella dei LABATE è altresì denotato dai contatti tra Stefania PITASI e Benito “Chicco” LABATE, figlio di Antonino LABATE[3] e nipote del boss Pietro. La PITASI infatti, adempiendo alle sue consuete funzioni di “postina“, consegnava al rampollo dei “Ti mangiu” una lettera proveniente da Maurizio CORTESE, concernente alcuni “lavori” di interesse del detenuto. Nel corso delle intercettazioni, per di più, i sodali rievocavano una cena cui avevano partecipato Maurizio CORTESE, suo suocero Paolo PITASI e “compare Pietro”, ovvero il boss di Gebbione Pietro LABATE.

Quanto alla cosca LIBRI di Cannavò, occorre evidenziare che taluni dissidi [manifestati, in particolare, da Paolo PITASI[4]] non hanno impedito un fattivo e proficuo dialogo ogni qual volta si è posta l’esigenza di risolvere problematiche comuni.

In tal senso appare emblematica, innanzitutto, la vicenda relativa all’intervento del PITASI in favore di un dentista, destinatario di richieste estorsive nella frazione Gallina. Nella circostanza Paolo PITASI [coadiuvato da BARBARO Antonino, DE LORENZO Salvatore Paolo e Bruno NUCERA, esponenti della cosca SERRAINO] ha incontrato l’indagato MORABITO Sebastiano [“compare Bastiano”], nella sua qualità di esponente di vertice del gruppo mafioso dei LIBRI a Gallina in modo da perorare la causa del professionista assicurandogli la protezione della cosca.

Estremamente significativi sono inoltre i contatti intrattenuti da Antonino BARBARO con due esponenti apicali della cosca LIBRI: Giuseppe SERRANÒ [detto Peppe di Ceddi[5]], apprezzato per la sua straordinaria affidabilità criminale, e Antonio [Totò] LIBRI[6]. Circostanza emersa quando – a seguito del danneggiamento subito da una pizzeria di proprietà di un soggetto vicino al gruppo CORTESE, i sodali si attivavano per cercare di identificare gli autori dell’intimidazione. Trattandosi di un esercizio commerciale ricadente nella zona di influenza dei LIBRI, BARBARO Antonino affermava di essersi già confrontato con Totò LIBRI, da lui conosciuto come l’attuale reggente di quella cosca e con il quale vantava un rapporto di costante e rispettosa collaborazione.

Sono stati accertati, inoltre, rilevanti contatti con la famiglia DE STEFANO-TEGANO. In particolare appaiono documentate le relazioni con Luigi [Gino] MOLINETTI[7], storico esponente del potente clan di Archi. Nell’ottobre 2018, PITASI Stefania parlava con DE LORENZO Salvatore Paolo di una lettera che le era stata inviata dal carcere dal marito CORTESE Maurizio. Al riguardo, il DE LORENZO le riferiva di essersi già attivato per organizzare un incontro con un soggetto di Archi, secondo le direttive ricevute del boss detenuto. Nel successivo mese di novembre 2018, DE LORENZO Salvatore Paolo discuteva con PITASI Stefania dell’imminente apertura del bar “Shine” e della necessità di stipulare un contratto di fornitura di acqua minerale con una ditta di MOLINETTI. In quella circostanza PITASI Stefania, però, mostrava qualche perplessità, non avendo ancora ricevuto il nulla osta del coniuge Maurizio CORTESE, né del padre Paolo PITASI, ma DE LORENZO le riferiva che era stato proprio CORTESE a richiedere il contatto con Gino MOLINETTI, indicato, cripticamente, solo con alcune sillabe [“MO-LI“] del suo “ingombrante” cognome, inviandogli alcune “imbasciate” che egli stesso aveva recapitato al noto ‘ndranghetista di Archi.

Il primo contatto con MOLINETTI, su mandato di CORTESE, era stato avviato quando era stata aperta la panetteria “Da Nonna Lavinia Pane e Fantasia” a Reggio Calabria. Trattandosi di un esercizio commerciale insistente in una zona non sottoposta al controllo della cosca dei SERRAINO, bensì sotto il dominio della cosca DE STEFANO- TEGANO, nel rispetto delle regole della `Ndrangheta, DE LORENZO, per ordine di CORTESE, aveva allertato Luigi MOLINETTI, sia per ottenere il necessario nulla osta all’apertura, sia per ricevere aiuto nell’accaparramento di clienti. Un’ ulteriore “imbasciata” era stata recapitata a MOLINETTI affinché si interessasse, in ragione dei buoni rapporti con CORTESE, al reperimento di macchinari aziendali necessari per l’apertura di un esercizio commerciale.

            Ancora, nel maggio 2019, all’atto dell’apertura del nuovo negozio di frutta e verdura intestato a Bruno NUCERA, Salvatore Paolo DE LORENZO – che di fatto lo gestiva – aveva ricevuto la visita di un fornitore di formaggi, accompagnato da Gino MOLINETTI. Quest’ultimo, che si era portato nel negozio per “presentarsi”, aveva cambiato atteggiamento trovandosi di fronte il DE LORENZO, che evidentemente conosceva come esponente della cosca SERRAINO. DE LORENZO aveva quindi spiegato di avere iniziato la gestione della rivendita di frutta e verdura per fare un favore a “suo compare”, ovvero al detenuto Maurizio CORTESE. Di fronte a tale osservazione, MOLINETTI aveva ostentato solidarietà nei confronti del boss di San Sperato, imprecando e dolendosi per la sua perdurante condizione detentiva.

I buoni rapporti della cosca SERRAINO con il gruppo di Gino MOLINETTI si colgono anche da un’ulteriore vicenda relativa ad alcuni investimenti nel settore della distribuzione del caffè, su richiesta del detenuto Maurizio CORTESE. In tale contesto si registrava l’alacre operatività di Antonino BARBARO che si poneva alla ricerca di preventivi per l’acquisto delle auspicate forniture. BARBARO parlava a Stefania PITASI dell’opportunità di acquistare il caffè commercializzato da Tonino FOTI, operante nei pressi di piazza Carmine di Reggio Calabria. Il prezzo praticato da FOTI si rivelava particolarmente vantaggioso grazie all’intermediazione di esponenti delle cosche di Archi e BARBARO si era presentato dal commerciante insieme a dei soggetti appartenenti all’entourage criminale del MOLINETTI, inducendo il venditore ad applicare un forte sconto sul prezzo di mercato [senza alcun rincaro rispetto al prezzo che era praticato al commerciante dal suo fornitore].

Di sicuro rilievo risultano poi i contatti con Gaetano CHIRICO nipote del defunti boss Paolo e Giorgio DE STEFANO, storici capi della più temibile cosca di Archi, nonché figlio di Francesco CHIRICO[8]. Gaetano CHIRICO si recava presso l’abitazione di Paolo e Stefania PITASI, per discutere di alcune incomprensioni con Bruno IARIA classe 1977, cognato di Maurizio CORTESE. Prima di affrontare IARIA, CHIRICO aveva sentito l’esigenza di avvisare i PITASI e, per il loro tramite, lo stesso CORTESE, visti i rapporti di “fraterna amicizia” che legavano i due.

            Dalle attività di indagine è emersa la capacità dell’organizzazione mafiosa capeggiata dal CORTESE di supportare economicamente i detenuti e i loro familiari con finanziamenti derivanti dai proventi estorsivi. Ed invero, durante la carcerazione, CORTESE e i suoi familiari sono stati aiutati da numerosi sodali. Un importante contributo è stato assicurato da BARBARO Antonino, MORABITO Domenico e FILOCAMO Antonino. MORABITO Domenico aveva il compito di accompagnare Stefania PITASI ai colloqui con il marito presso la Casa Circondariale di Torino, facendosi interamente carico delle spese del viaggio. BARBARO Antonino si occupava delle assunzioni lavorative di affiliati o comunque di soggetti legati al sodalizio. Informava costantemente PITASI Stefania e quest’ultima il padre Paolo sulla spartizione dei posti di lavoro tra i componenti dell’associazione criminale, secondo criteri che rispondevano alle logiche organizzative e gerarchiche tipiche della ‘Ndrangheta. BARBARO si era anche prodigato per trovare una sistemazione lavorativa a un soggetto vicino ai DE STEFANO. Analogamente al BARBARO, anche FILOCAMO Antonino sosteneva la famiglia di CORTESE Maurizio chiedendo somme di denaro a titolo estorsivo ad alcuni esercenti per il mantenimento del boss detenuto 

            Nonostante fosse detenuto nel carcere di Torino, CORTESE Maurizio riusciva a gestire gli affari illeciti della cosca attraverso i colloqui con la moglie PITASI Stefania e FILOCAMO Antonino, mediante un costante rapporto epistolare con gli affiliati, in particolare con la moglie, nonché con l’utilizzo di dispositivi cellulari introdotti abusivamente all’interno della struttura carceraria e infine avvalendosi del servizio di messaggistica “email” attivo nella struttura di detenzione.

PITASI Stefania Maria ha operato costantemente come postina della cosca guidata dal coniuge CORTESE Maurizio, trasmettendo messaggi [imbasciate] e informazioni essenziali per l’operatività del gruppo mafioso e per l’esercizio della funzione di comando del CORTESE. Quest’ultimo, pur essendo detenuto, ha continuato a svolgere le sue funzioni di capo cosca, impartendo direttive dal carcere per eseguire estorsioni e pianificare intestazioni fittizie di beni, grazie innanzitutto ai colloqui con la moglie, alla corrispondenza epistolare ed elettronica e ai telefoni cellulari clandestinamente introdotti in cella.

Il CORTESE utilizzava dunque lettere formalmente indirizzate alla moglie per impartire disposizioni ai membri della cosca, che la donna provvedeva a far recapitare. In particolare, dava disposizioni all’affiliato DE LORENZO su come comportarsi in occasione della riscossione delle estorsioni da imprenditori e commercianti. In una circostanza, tramite una lettera diretta alla PITASI, CORTESE si era lamentato dei modi alquanto garbati che, a suo parere, DE LORENZO era solito usare nei confronti dei soggetti che manifestavano difficoltà nei pagamenti. In buona sostanza il capo cosca avrebbe voluto che il suo affiliato – in caso di inottemperanza alle richieste – passasse alle maniere forti, in modo da imporre il rispetto degli impegni presi [“… perché non hai preso un nervo per dare una ripassata a quattro, cinque o per andare ad importi…]. DE LORENZO, dal canto suo, si mostrava infastidito dalle incomprensioni con il boss detenuto e pretendeva il rispetto che gli era dovuto in ragione della sua fedele affiliazione alla cosca SERRAINO [“dote” a suo tempo conferitagli dalla casa madre della consorteria dei SERRAINO “della montagna”] ma era favorevole a seguire le leggi della cosca, sottolineando di non avere problemi ad adempiere persino a mandati omicidiari, laddove fosse stato necessario per dare attuazione alle regole della ‘Ndrangheta, [“Se devo andare a sparare ad uno, vado”].

Con le medesime modalità operative, Maurizio CORTESE intratteneva rapporti epistolari anche con Domenico SCONTI, genero del defunto Francesco SERRAINO detto il “boss della montagna”.

Dall’indagine emergevano, inoltre, diversi elementi che dimostrano come CORTESE Maurizio, grazie alla corruzione di un agente di polizia penitenziaria e al costante supporto dei sodali Antonino BARBARO, Antonino FILOCAMO, Salvatore Paolo DE LORENZO, PITASI Paolo e PITASI Stefania, nonché di altri detenuti, avesse a disposizione telefoni cellulari e alcune schede “citofono” con le quali riusciva a comunicare riservatamente con l’esterno, impartendo disposizioni sia alla moglie che ad altri sodali attinenti alle dinamiche e alle attività delittuosa della cosca di cui continuava a tenere le redini nonostante lo stato di detenzione carceraria. Era lo stesso CORTESE a spiegare, nel corso di una conversazione captata nel mese di aprile 2019, come fosse riuscito ad introdurre all’interno della Casa Circondariale l’apparecchio telefonico e nel fare riferimento a “guardie corrotte” affermava che uno degli agenti penitenziari [non identificato], dietro pagamento di 500 euro, si era prestato a consegnargli abusivamente il telefono. L’apparecchio cellulare veniva rinvenuto, il 9 aprile 2019, nel corso di una perquisizione della cella di CORTESE Maurizio. Nel maggio 2019 – dopo il sequestro del telefono e il trasferimento in un altro carcere – il boss ricominciava ad utilizzare il metodo di comunicazione epistolare.

L’attività investigativa ha dimostrato come la cosca guidata da CORTESE Maurizio controlli capillarmente il territorio sul quale esercita il dominio mafioso e sia dedita all’intimidazione e alla violenza in funzione dell’accaparramento di proventi estorsivi a carico di imprenditori e commercianti. Nell’ottica della massimizzazione dei profitti, il CORTESE non ha esitato ad ordinare la distruzione del bar dell’associato MORABITO Domenico per avvantaggiare l’altro sodale FILOCAMO Antonino, operante nella stessa zona, dal quale avrebbe ottenuto maggiori prebende.  

Ed invero, in qualità di gestore di fatto del bar “Mary Kate” sul Viale Calabria, MORABITO Domenico aveva promesso al CORTESE somme di denaro per essere stato autorizzato ad aprire il bar nella zona notoriamente controllata dai LABATE. Tuttavia il CORTESE, ritenendosi non soddisfatto dalle prestazioni del MORABITO – il quale, peraltro, avrebbe riferito di aver aperto l’esercizio commerciale senza il placet di alcuno – aveva preferito ampliare i suoi guadagni accettando maggiori offerte da FILOCAMO Antonino, titolare del “Royal Cafè”, ubicato nelle vicinanze del “Mary Kate”, finché il CORTESE aveva deciso di farlo chiudere con due gravi danneggiamenti eseguiti mediante incendio dal FILOCAMO. Assunta la determinazione di azzerare la concorrenza del MORABITO, il boss forniva dal carcere le indicazioni di dettaglio alla moglie, celate da un linguaggio criptico, ma ben noto alla PITASI la quale, ancora una volta, si prestava a fare da vettore delle disposizioni del capocosca agli affiliati. CORTESE Maurizio impartiva le sue direttive facendo ricorso ad espressioni relative all’ambiente dei “cani”. Nello specifico l’espressione “Tenere il cane di Monica” stava a significare che doveva essere danneggiato il bar “Mary Kate” di MORABITO Domenico, coniugato con Monica TOMASELLI. CORTESE Maurizio aveva individuato nel sodale MASSARA Sebastiano – assiduo frequentatore della famiglia CORTESE-PITASI e noto come “ picchiatore” e “demolitore” – il soggetto che doveva porre in essere l’azione delittuosa [indicata con le locuzioni “monta” e “accoppiamento”] rispetto alla quale era necessario osservare la massima riservatezza. E così, nella serata del 12 aprile 2019, il bar “Mary Kate” sito in Viale Calabria, subiva un grave danneggiamento causato da un incendio doloso. A commettere il delitto non era stato però MASSARA Sebastiano come disposto dal CORTESE ma lo stesso FILOCAMO Antonino che aveva agito – in anticipo rispetto al MASSARA – non avendo bene inteso le disposizioni date dal boss dal carcere. Da quel momento CORTESE Maurizio avrebbe preteso da FILOCAMO Antonino l’elargizione di cospicue somme di denaro, sicché disponeva alla moglie di contattare il predetto per chiarire che della vicenda del danneggiamento, finalizzato appunto ad eliminare la concorrenza del bar “Mary Kate” del MORABITO, avrebbe preferito occuparsene lui direttamente [il CORTESE]. Ulteriori intese intercorse evidentemente con il CORTESE consentivano al MORABITO di riaprire il bar.

            FILOCAMO e CORTESE quindi concordavano che se MORABITO avesse riaperto il bar, essi avrebbero posto in essere ulteriori danneggiamenti [“accoppiamenti”]. Il 13 maggio 2019, MORABITO avviava i lavori di ristrutturazione dell’esercizio commerciale. Ed esattamente 5 giorni dopo l’inizio dei lavori, i1 “Mary Kate” subiva un nuovo danneggiamento mediante incendio.

MORABITO Domenico si è distinto anche per aver posto in essere atti di concorrenza sleale con minaccia e di natura estorsiva ai danni del proprietario di un immobile il quale è stato costretto a cedergli in locazione i locali destinati al bar anziché a due fratelli con i quali aveva in corso trattative. La spiccata autorevolezza criminale del MORABITO, acquisita e pienamente avvertita dall’esterno, grazie alle frequentazioni con soggetti di altissima caratura criminale, come ad esempio Domenico SCONTI, nonché il tono velatamente intimidatorio del linguaggio adoperato, inducevano il proprietario dei locali a non controbattere alle richieste del MORABITO a difesa della propria libertà di autodeterminazione, ma anche a fornire una giustificazione a quell’affronto, mostrando tutta la propria accondiscendenza con un finale “voi siete il padrone signor MORABITO“. MORABITO Domenico aveva scelto di schermare l’esercizio da possibili provvedimenti ablativi, utilizzando l’espediente dell’intestazione fittizia, evidentemente preoccupato di possibili indagini in corso a suo carico.

            Anche in relazione all’attività di panetteria il CORTESE, coadiuvato dalla moglie Stefania PITASI e con il concorso materiale del sodale DE LORENZO Salvatore Paolo, ha imposto la sua forza di intimidazione mafiosa costringendo un rivenditore a fare rifornimento di pane presso l’esercizio abusivo dei coniugi [CORTESE-PITASI] che si servivano di un forno a legna in casa.

Coadiuvato dalla PITASI, il CORTESE, ha posto in essere pressioni estorsive anche nei confronti del titolare di un bar di via San Sperato. La richiesta estorsiva, che doveva essere materialmente eseguita da Antonino FILOCAMO, aveva ad oggetto la somma di euro 2.500,00. Il CORTESE impartiva le direttive tramite l’utenza cellulare che deteneva clandestinamente presso il carcere di Torino, nonché tramite il servizio di messaggistica attivo presso la medesima struttura carceraria. Come erano soliti fare per discutere di estorsioni Maurizio CORTESE Maurizio – che è titolare dell’impresa individuale denominata “Allevamento Paonellas di Maurizio Cortese”, con sede a Reggio Calabria – e PITASI Stefania utilizzavano espressioni tipiche delle attività di allevamento di cani, così da non destare sospetti in caso di intercettazioni. La pretesa estorsiva non andava a buon fine in quanto il commerciante aveva rappresentato l’impossibilità di fare fronte alla richiesta dal momento che versava in una situazione di “difficoltà” economica. È in questo momento che CORTESE ordinava l’esecuzione di un’azione ritorsiva in danno della vittima, stabilendo modalità e tempistica della stessa, ovvero facendo riferimento ad un’azione di danneggiamento dell’esercizio commerciale della vittima. Decideva quindi di fare eseguire l’azione a Sebastiano MASSARA dopo circa 20 giorni, con modalità analoghe a quelle adottate circa due anni prima. L’azione criminosa non si era concretizzata in quanto, subito dopo la registrazione delle suddette conversazioni, in data 2 maggio 2009, Personale della Squadra Mobile procedeva alla perquisizione dell’abitazione di Sebastiano MASSARA.

Una ditta impegnata in lavori di ristrutturazione di un edificio a due piani fuori terra ubicato in Reggio Calabria, del valore di 40.000 euro, veniva costretta da CORTESE Maurizio, PITASI Paolo, PITASI Stefania, mediante minacce dirette ed indirette derivanti dalla forza intimidatrice della cosca, a corrispondere una percentuale sull’importo dei lavori da eseguire. I predetti venivano coadiuvati dai sodali SCONTI e BARBARO. L’estorsione si consumava nel marzo del 2019 e aveva ad oggetto la dazione da parte della vittima di euro 1.000,00.

A CORTESE Maurizio e a DE LORENZO Salvatore Paolo è contestato anche il delitto di estorsione aggravata perché, con minaccia implicita derivante dalla loro appartenenza alla cosca SERRAINO, costringevano un numero indeterminato di soggetti non identificati  a rinunciare ai crediti che vantavano nei confronti del DE LORENZO, tra cui uno di 105.000 euro a titolo di corrispettivo per alcuni lavori di edilizia dallo stesso commissionati. Maurizio CORTESE, intimava alle persone offese di non avanzare richieste di pagamento, avvertendole del suo personale interesse alla rimessione dei debiti del DE LORENZO.

A DE LORENZO Salvatore Paolo  è contestato il delitto di detenzione e porto illegale in luogo pubblico  di due o tre pistole mitragliatrici Beretta PM 12 o comunque armi aventi analoghe dimensioni e caratteristiche esteriori.

L’inchiesta ha dimostrato anche come alcuni indagati, in ragione della loro appartenenza alla cosca SERRAINO e della consapevolezza di potere essere destinatari di provvedimenti di custodia cautelare o di misure di prevenzione personale e patrimoniale, abbiano posto in essere un’accurata attività di fittizia attribuzione della titolarità di attività imprenditoriali al fine di eludere i controlli delle forze dell’ordine e le disposizioni di legge in tema di misure di prevenzione.

I principali protagonisti di tali vicende sono stati CORTESE Maurizio, PITASI Stefania, DE LORENZO Salvatore, MORABITO Domenico, NUCERA Bruno.


[1] tratto in arresto nel 2010 nell’ambito dell’ operazione “Epilogo” coordinata dalla DDA di Reggio Calabria.

[2] classe 1959, arrestato per associazione mafiosa ed estorsione aggravata nell’ambito dell’operazione Heliantus.

[3] classe 1950,  arrestato per associazione mafiosa ed estorsione aggravata nell’ambito dell’operazione Heliantus.  

[4] Sono state registrate alcune conversazioni nel corso delle quali Paolo PITASI rievocava momenti di conflittualità con il boss Pasquale LIBRI classe 1939 [deceduto in data 30.08.2017], per questioni concernenti la delimitazione delle aree di competenza delle rispettive cosche e con il genero Filippo CHIRICO classe 1970, capo della cosca LIBRI, condannato alla pena di 20 anni di reclusione, in esito al giudizio abbreviato nell’ambito del proc. pen. cd. Teorema Roccaforte.

[5] Classe 1974, arrestato per associazione mafiosa  nell’ambito dell’operazione Libro Nero.

[6] Classe 1983, tratto in arresto il 24 giugno 2020 per associazione mafiosa, tentata estorsione aggravata ed estorsione aggravata nell’ambito dell’operazione “Malefix”.

[7] Classe 1964, arrestato il 24 giugno 2020 per associazione mafiosa e altri reati aggravati dal metodo e dall’agevolazione mafiosa nell’ambito dell’operazione Malefix.

[8]  Sottoposto a misura cautelare e poi rinviato a giudizio nel procedimento c.d. “Gotha”, in cui è confluito il proc. pen.cd. “Mammasantissima”.

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