Il reggino Giuseppe Geria a La Giovane Italia: “Foti e Cerantola mi hanno fatto innamorare del calcio giovanile”


Spazio dedicato a Giuseppe Geria quello che la Giovane Italia ha pubblicato nell’ultima edizione. Il responsabile del settore giovanile del Pescara Calcio nativo di Reggio Calabria ha raccontato passato, presente e futuro della propria carriera.

Da cinque anni, Giuseppe Geria ricopre il ruolo di responsabile del settore giovanile del Pescara Calcio. Il dirigente biancazzurro si è perfettamente integrato nella realtà abruzzese, che non a caso negli ultimi anni ha lanciato verso la prima squadra molti giovani cresciuti nel vivaio. A La Giovane Italia, Geria ha raccontato le metodologie e i segreti del settore giovanile del Delfino.

Direttore, come sono andati questi cinque anni a Pescara?
“Cinque anni sono tanti, perché entri in una comunità, un tessuto sociale, un territorio di cui si diventa parte. Io sono nato a Modena, ho vissuto la mia prima infanzia a Trieste e a dieci anni mi sono trasferito a Reggio Calabria, che ritengo la mia città. Pescara la reputo una città moderna, viva e capace di accettarti, molto simile alla mia città. E poi vedo ogni giorno il mare! Il presidente Sebastiani investe volentieri nel settore giovanile e con lui c’è condivisione sulle idee. Abbiamo costruito il nostro vivaio un pezzo alla volta e ora abbiamo collaboratori validi anche fuori dal campo. Mi riferisco alle figure meno considerate quali magazzinieri, custodi dirigenti accompagnatori, fisioterapisti o addetti al convitto, che invece a mio avviso sono basilari per il successo di una organizzazione giovanile. Abbiamo aggiunto sempre qualcosa anno per anno grazie ad una proprietà che crede nei giovani. Si è realizzato un database dove raccogliamo numerosi tipi di dati e che monitora tutto il percorso dei ragazzi e dei dirigenti, passando per la segreteria e lo scouting fino ad arrivare alla parte tecnica degli allenatori. Inoltre sono stati installati due sistemi di videocamere che permettono un’approfondita analisi di tutte le sedute e le partite ed abbiamo in programma ulteriori novità… Nel tempo abbiamo realizzato una nostra metodologia alla quale hanno contribuito tutti i tecnici. Tutti quelli che sono passati negli anni hanno contribuito per arrivare ai risultati di oggi. Ma siamo ancora all’inizio: ormai quello che è successo lo scorso anno è vecchio e superato, e Il nostro obiettivo è quello di arrivare alla metodologia di domani e poi di dopodomani”.

Qual è quindi il modus operandi che volete raggiungere?
“Il calcio si evolve continuamente e le idee devono essere sempre innovative. Ho avuto il piacere di far parte del corpo tecnico dei docenti di Coverciano per i corsi Uefa C in passato, esperienza che mi ha aiutato molto soprattutto nei confronti coi corsisti. Nel settore giovanile devi essere un facilitatore dell’apprendimento, ma spesso ci si trova davanti ad un’eccessiva esaltazione del proprio Io e di idee da imporre ai giovani che dobbiamo guidare.
Credo che una partita abbia mille variabili, e sono molteplici i fattori che influenzano l’andamento di una gara. Molti allenatori ritengono che sia importante l’esercizio che devono svolgere i ragazzi ed una buona riuscita di un’esercitazione preparata a tavolino si pensa sia la ricetta giusta per formare i nostri giocatori”.

Concorda sul punto?
“Io non condivido questa teoria ma piuttosto ai nostri giovani devono arrivare dei principi con cui affrontare la partita ed in quali momenti o situazioni saper reagire alle richieste che una partite pretende. Saperli formare quindi necessita di conoscenze e competenze elevate da parte degli allenatori.
A seguito di questi concetti sviluppati al nostro interno posso affermare che noi non abbiamo un “eserciziario” ma una sorta di “breviario”, fatto di principi sui quali basiamo le nostre proposte che sono continuamente modificate durante la seduta in relazione a quanto vede, analizza e trasforma l’allenatore che inserisce delle regole e dei vincoli, modifica ed altera spazi e numero dei partecipanti per poi individualizzare le proposte. Ognuno dei mister deve essere a disposizione dei giocatori che gli affidiamo e di certo non chiediamo di allenare le squadre per vincere le partite, ma piuttosto di puntare al miglioramento dei singoli nel contesto del gioco. Il protagonista principale rimane il gioco dal quale tutti devono trarre spunto di riflessione, analisi e applicazioni pratiche per migliorare il proprio livell”.

Quali sono i principi che cercate nei vostri ragazzi?
“Abbiamo dei criteri di scelta: intelligenza, intraprendenza, applicazione, capacità di apprendimento ed adattamento. La parte tecnica la reputiamo migliorabile e d’altronde avendo la fortuna di poter fare selezione ogni ragazzo già possiede delle basi di partenza più che accettabili. Oggi il calcio richiede qualità genetiche di alto livello e prerequisiti dai quali non si può prescindere per formare un giocatore professionista. Influisce tanto l’ambiente di provenienza, i maestri e gli esempi avuti nel loro percorso ma le qualità umane sono fondamentali per una crescita importante. Ovviamente non scomponiamo un giovane analizzandolo a compartimenti stagni, però crediamo molto nelle loro abilità intellettive ed intuitive”.

Quanto setacciate nel vostro territorio?
“La nostra non è una regione popolata e non ha grandi vie di comunicazione, siamo la terza provincia più piccola d’Italia e siamo molto giovani rispetto ad altri. Fino ai quattordici anni non possiamo uscire dai nostri confini regionali, quindi fino a quel momento cerchiamo di individuare quei talenti acerbi con quelle qualità che riteniamo più importanti e da lì provare ad iniziare a lavorarci. La filosofia del nostro club prevede anche la cessione prematura del giovane o il possibile esordio nella nostra prima squadra, ma sappiamo bene che col passare del tempo le varie abilità acquisite determinano il livello di competenza del giovane che noi formiamo e di conseguenza la categoria nella quale si andrà a confrontare nel calcio degli adulti. Per quello che mi riguarda siamo ancora al 40% di quanto vogliamo realizzare”.

Quanto grande è la vostra rete di scout?
“A livello di scouting siamo due persone, io e Antonio Di Battista, che lavora al Pescara da vent’anni. Io e lui ci dividiamo la visione delle partite, anche se è logico che abbiamo una rete di segnalatori abbastanza personale che ci permette di andare a cercare ragazzi che ci consigliano, ma quasi tutto il lavoro è svolto da me e Antonio. Andiamo anche all’estero se necessario. Quest’anno, se la visione delle partite sarà permessa visto il periodo che viviamo, contiamo di inserire delle figure da formare anche in questo ambito”.

Quanto spesso andate all’estero?
“Non tanto, e le nostre trasferte sono ben mirate. Abbiamo una grande comunità di senegalesi qui a Pescara: ci sono molte case famiglia che ne ospitano davvero tanti e quindi qualche percorso lo facciamo con questi ragazzi. Andiamo all’estero in Paesi dai quali possiamo eventualmente acquisire dei ragazzi in base soprattutto alle nostre possibilità economiche. Un club di Serie B come il nostro deve saper essere creativo in questo ambito e individuare dei giovani sui quali costruire un programma tecnico adeguato. Qui subentra la validità dei formatori e di tutto il nostro ambiente che deve contribuire alla riuscita di quanto stabilito”.

Quali sono i vostri programmi per la prossima stagione?
“Abbiamo fatto quattro anni di un certo percorso, quest’anno c’è stato un cambio di guide tecniche con cui dobbiamo riprendere il discorso sulle nostre idee e il nostro modo di fare calcio, su quegli aspetti di cui parlavo prima che cerchiamo di portare avanti e di trasmettere”.

Ormai hai scelto di sposare il settore giovanile.
“Sì assolutamente, non mi interessa il calcio dei grandi. Dopo aver fatto parte della FIGC e con un incarico anche nella FIFA sono stato contattato dall’allora ds della Reggina Gabriele Martino nel lontano 2002, e insieme al presidente Foti e a mister Cerantola mi hanno fatto innamorare del mondo giovanile. Poi coi grandi ho fatto qualche anno il direttore sportivo, ma più per necessità e perché non mi aveva coinvolto nessun club in progetti sui giovani. Poi fortunatamente il direttore Angelozzi mi chiamò per affidarmi il settore giovanile del Bari, e da lì in poi ho ripreso questo tipo di percorso. I ragazzi sono la mia vita e ormai nelle riunioni coi colleghi che organizza periodicamente la Federazione mi rendo conto di essere fra i veterani di questo fantastico mondo. Cerco di ascoltare molto i ragazzi, apprendo molto da loro ed anche dai miei figli, ne ascolto le necessità, le richieste, mi fanno capire quali sono i loro sogni. Sono loro i protagonisti del mio calcio”.