Nel napoletano tre amministrazioni sciolte per camorra in 105 giorni: «E’ emergenza democratica»


Tre amministrazioni comunali della provincia di Napoli sciolte per infiltrazioni camorristiche in appena 105 giorni. Quindici settimane per vedere cancellati tre consigli eletti e nei quali il Consiglio dei Ministeri ha ravvisano possibili ingerenze della criminalità organizzata. Tre città che in comune hanno il Vesuvio, visibile da lati diversi. Come diverso è il colore politico delle tre amministrazioni, per una scure contro le possibili connivenze tra politica e criminalità organizzata che, stando alle valutazioni del prefetto, non conosce distinzioni tra centrosinistra e centrodestra.

L’ultima amministrazione a cadere è stata quella ieri San Giuseppe Vesuviano. Il sindaco, Vincenzo Catapano, era stato eletto nel giugno 2018 con una coalizione di liste civiche ma con la dichiarata vicinanza del primo cittadino alla Lega. La voce circolava negli ambienti politici da alcune settimane, tanto che la decisione non arriva come un fulmine a ciel sereno. Per San Giuseppe Vesuviano è il terzo scioglimento legato a presunte connivenze tra la macchina amministrativa e la criminalità in trent’anni, dopo quelli del 1993 e del 2009. Appresa la notizia, il primo cittadino ha sostenuto che «per noi parlano anni di lotta chiara ed aperta alla criminalità organizzata», manifestando l’intenzione di ricorrere al Tar.

Ricorso al tribunale amministrativo già presentato invece dall’ex sindaco di Castellammare di Stabia, Gaetano Cimmino, espressione locale di Forza Italia. La sua amministrazione è stata la prima delle tre ad essere spedita a casa anzitempo (le elezioni per il rinnovo dell’assise si devono svolgere anche in questo caso nel 2023) dal Consiglio dei Ministri. Era il 25 febbraio. Nel relativo decreto si sottolineava come “la permeabilità dell’ente ai condizionamenti esterni della criminalità organizzata ha arrecato grave pregiudizio agli interessi della collettività e ha determinato la perdita di credibilità dell’istituzione locale”. Nel mezzo, il 5 maggio, lo scioglimento per presunte infiltrazioni mafiose dell’amministrazione comunale di Torre Annunziata. Qui il sindaco Vincenzo Ascione, rappresentante del Pd eletto nel 2017, era di fatto tornato a casa già da diverse settimane, avendo rassegnato le dimissioni il 16 febbraio, anticipato e seguito da tanti altri cittadini amministratori, alcuni dei quali (compreso il primo) indagati nell’ambito di un’inchiesta su presunte mazzette in cambio di appalti pubblici che aveva portato in carcere l’ex dirigente dell’ufficio Tecnico e l’ex vicesindaco. Due scioglimenti in due mesi e mezzo che hanno consegnato alla città vesuviana tristemente nota per essere stata quella della quale scriveva Giancarlo Siani, il cronista del quotidiano ‘Il Mattino’ ucciso dalla camorra, un record non invidiabile.

«E’ emergenza democratica». E’ il commento di politici e sindacati dopo l’ennesimo scioglimento per infiltrazioni di un comune dell’area a Sud di Napoli. «Mentre a Roma si discute, Sagunto è espugnata. Napoli rischia di non farcela. E’ emergenza democratica. La questione criminale è questione nazionale. Gli ultimi tre comuni sciolti per mafia dal Consiglio dei ministeri sono tutti della provincia di Napoli. Dopo Castellammare di Stabia e Torre Annunziata, tocca ora a San Giuseppe Vesuviano, per quasi 150mila abitanti di questi tre comuni è sospesa la democrazia. Perciò siamo di fronte a un’emergenza nazionale che riguarda la democrazia e il rispetto dei diritti costituzionali. Troppi territori dell’area metropolitana di Napoli sono terre di nessuno. Abbiamo bisogno di fronteggiare l’emergenza». Così in una nota firmata da Sandro Ruotolo, senatore indipendente, Gilda Sportiello, deputata 5 stelle, Marco Sarracino, segretario metropolitano Pd Napoli, Francesco Dinacci, coordinatore metropolitano di Articolo Uno, Peppe De Cristofaro di Sinistra italiana, don Gennaro Pagano, cappellano del carcere minorile di Nisida, lo scrittore Maurizio de Giovanni e i segretari generali di Cgil, Cisl e Uil Napoli, Nicola Ricci, Gianpiero Tipaldi e Giovanni Sgambati. «Più uomini, mezzi per combattere la camorra – aggiungono – ma bisogna anche più iniziare a intervenire sulle radici economiche e sociali da cui la camorra trae forza. Dispersione scolastica, mancanza di formazione, mancanza di lavoro. Se qualche forma di resistenza c’è stata in questi anni, lo dobbiamo principalmente a quella società civile, a quelle associazioni di volontari, del terzo settore, impegnate nei quartieri cosiddetti a rischio, ad una parte della politica che ha deciso di affrontare il problema, resistere e nonostante le difficoltà, lo dobbiamo – si evidenzia nella nota – al Vescovo di Napoli, don Mimmo Battaglia, che ha lanciato il patto educativo raccolto dai ministeri Bianchi e Lamorgese e dal sindaco di Napoli Gaetano Manfredi. Sono queste le energie di cui Napoli ha bisogno. Ma non ci siamo ancora», conclude la nota.