Nel 2021, in Lombardia, quasi un lavoratore su 10 si è dimesso dal lavoro. Nella sola Milano, secondo i dati elaborati da Cgil Lombardia per il Corriere della Sera, si sono contate 179.200 dimissioni, il 30% in più rispetto all’anno precedente. E il fenomeno della «The great resignation», come l’hanno chiamato oltre oceano, si è mostrato con una certa potenza anche in Veneto.
Guardando ai primi 4 mesi del 2022 si contano qui 66.300 dimissioni, ovvero il 50% in più rispetto al medesimo periodo dell’anno precedente. Come ha sottolineato sul Corriere il direttore di Veneto Lavoro Tiziano Barone, «notiamo che, mediamente, entro pochi giorni il dimissionario ha già una nuova occupazione che evidentemente soddisfa le sue aspettative», portando quindi a pensare che «la crescita del numero delle dimissioni risulta fortemente guidata dalle possibilità di ricollocazione offerte dal mercato».
E lo conferma anche chi lavora tutti i giorni a stretto contatto con aziende in cerca di talenti e con professionisti aperti a nuove opportunità lavorative.
Come spiega infatti Carola Adami, fondatrice di Adami & Associati, società internazionale di head hunting specializzata nella selezione di personale qualificato e nello sviluppo di carriera, «il forte aumento delle dimissioni in queste regioni è il risultato prima di tutto dell’importante numero di opportunità presenti sul mercato».
La spinta verso le dimissioni e la ricerca di un nuovo lavoro è costituita, come sottolinea l’head hunter, «dalla volontà di raggiungere nuove soddisfazioni e condizioni migliori, che spesso si traducono nella possibilità di lavorare in smart working, di avere maggiori possibilità di carriera e via dicendo. Indubbiamente, vista la vivacità del mercato, molti dipendenti hanno capito che potrebbe essere il momento giusto di scegliere il proprio posto di lavoro piuttosto che limitarsi a essere scelti, come potrebbe essere accaduto in passato».
Da una parte ci sono quindi dipendenti dimissionari che lasciano il proprio lavoro per trovare un nuovo equilibrio tra sfera privata e sfera professionale, avendo già nella maggior parte dei casi un’azienda pronta ad assumerli subito dopo il grande passo.
Dall’altra parte ci sono però le aziende che vedono aumentare in modo pericoloso il tasso di turnover, e che quindi si trovano a dover affrontare un numero molto alto di dimissioni volontarie, spesso anche improvvise e inaspettate.
«Di certo in un periodo come questo il mercato si divide tra le aziende con un forte employer branding, che quindi attraggono nuovi talenti, e quelle che invece faticano sia a trovare i professionisti giusti, sia a fidelizzare i propri dipendenti» spiega Adami «e per questo secondo gruppo si prospettano ingenti costi di diversa natura, da quelli necessari per rimpiazzare i dimissionari a quelli relativi alla perdita di competenze».
Diventa quindi sempre più importante mettere in campo delle strategie per fidelizzare i propri dipendenti.
«Il primo passo» spiega l’esperta di head hunting «è di certo quello di condurre dei processi di ricerca e selezione del personale attenti, così da avere le certezza di assumere i candidati giusti, con le competenze e le motivazioni necessarie. Il talento va ovviamente ricompensato con stipendi in linea con il mercato, pur sapendo che la grande fuga dei dimissionari nella maggior parte dei casi ha poco o persino nulla a vedere con il lato prettamente finanziario».
Le condizioni dei dipendenti dovrebbero quindi essere migliorate a tutto tondo: «si parla del lavoro agile, della formazione aziendale, del riconoscimento dei meriti dei dipendenti, della flessibilità, dell’engagement, dello sviluppo di una forte cultura aziendale e della creazione di concreti percorsi per lo sviluppo interno della carriera».